La solitudine di un portiere



Perché ho scelto di fare il portiere? Perché sono sempre stato un po' strano. Non c'è estremo difensore - e l'aggettivo dice tutto -, da San Siro all'oratorio, che non dia questa risposta a chi gli pone la fatidica domanda. Stare novanta minuti da solo a rincorrere i fantasmi che passano per la tua testa, mentre gli altri dieci corrono, si passano la palla, segnano, esultano. Stare tutto il tempo inoperosi e magari venire bucati dall'unico tiro che arriva in porta. Sentire il terrore crescere - come hanno raccontato magistralmente Peter Hendke e Wim Wenders - mentre l'attaccante sta per calciare un rigore. In campo e nella vita. Che diventa dura quando i fantasmi prendono consistenza e crescono fino a spingere sulle tempie dall'interno. Lo ha vissuto Gigi Buffon, superando la depressione. Lo ha tristemente vissuto il portiere della nazionale tedesca Enke, di cui domani si celebreranno i funerali. Non ce ne voglia il poeta Fernando Acitelli: l'ala destra non è mai sola. Il portiere, una vita contro tutti, sì. Per scelta estrema.

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